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Cento anni dalla marcia su Roma e l’avvento del Fascismo

Roma, 28 ottobre 1922. In un sabato, dei primi anni ’20, si svolse uno degli eventi che contribuì a mutare il volto del Bel Paese. Benito Mussolini, fondatore del partito Fascista, organizzò una manifestazione paramilitare che avrebbe favorito la sua scesa al potere. Chiamato dal re Vittorio Emanuele III, Mussolini giunse ai piedi del Quirinale dopo un percorso che da piazza del Popolo, attraverso via del Corso, lo condusse a Piazza Venezia, di fronte all’Altare della Patria. Il re lo accolse come un salvatore della patria, al quale volle affidare il potere, nella sua intenzione per appena pochi mesi. Il controllo del futuro Duce invece durò più di 20 anni.

Mussolini conquistò il potere in Italia attraverso una politica di “rivoluzione conservatrice”, applicando una politica del “doppio binario”. Da un lato lo squadrismo e dall’altro il compromesso politico. Tutto in toni semilegali.

 

La marcia

L’evento che conosciamo come Marcia su Roma necessitò di molti giorni di preparazione e di più di una tappa. La vicenda ebbe inizio a Napoli, il 24 ottobre, dove si svolse una prima adunata di squadristi, ma la prima vera tappa fu Perugia, dove venne instaurato il quartier generale, sede dei quadrumviri Balbo, Bianchi, De Bono e De Vecchi. Da lì, il 26 ottobre, prese origine la processione eversiva. Il giorno successivo un contingente di circa ventimila camicie nere si incamminò da Santa Marinella, Tivoli e Monterotondo, in direzione di Roma, difesa da 28.400 soldati. Lo stesso 27 ottobre le milizie fasciste attaccarono varie provincie, appropriandosi delle rispettive prefetture.

L’opposizione da parte dei dirigenti liberali d’altro canto fu esitante e non unanime.

Durante la notte gli squadristi fecero il loro ingresso nella Capitale, osteggiati dalla resistenza degli Arditi del popolo a Civitavecchia e quella dell’esercito a Orte. Al governo italiano, presieduto al tempo da Luigi Facta, non rimase che dichiarare lo stato d’assedio. Fu il re a bloccare la misura, rifiutandosi di controfirmarla e conducendo così Facta verso le dimissioni. Proprio allora entrò in gioco Antonio Salandra, incaricato di formare un nuovo governo e si fece dunque strada l’ipotesi di un governo Salandra-Mussolini.

 

Il nuovo governo

L’incarico di Salandra durò assai poco, infatti, già il 29 ottobre, Vittorio Emanuele III affidò allo stesso Mussolini l’onere di formare il governo, ed egli lo fece. Partì immediatamente per Roma, da Milano, dove si trovava in quel momento. Giunse in città la mattina del 30 per ricevere formalmente l’incarico. Ebbe inizio quel giorno il lungo ventennio fascista, con un governo di cui facevano parte fascisti, liberali, popolari, democratici e nazionalisti.

L’insediamento davanti alla Camera dei deputati dell’ormai capo di governo fu segnato da un discorso che sarebbe rimasto nella storia come il “discorso del bivacco”, dalla celebre espressione usata proprio da Mussolini: “Avrei potuto fare di quest’aula sorda e grigia un bivacco di manipoli. Potevo sprangare il Parlamento e costruire un Governo esclusivamente di fascisti. Potevo: ma non ho, almeno in questo primo tempo, voluto”.

Francesca Ricci

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