Samuele Stocchino, meglio conosciuto come “La Tigre d’Ogliastra”, fu uno dei personaggi più enigmatici e controversi della Sardegna nel primo Novecento. La sua vita, segnata da episodi di violenza, banditismo e ribellione, ha lasciato un’impronta indelebile nella storia dell’isola.

 

Infanzia e gioventù

Nato il 22 maggio 1895 ad Arzana, nel rione Preda Maore, Samuele proveniva da una famiglia contadina, figlio di Felice Stochino e Antioca Leporeddu. Era il quartogenito di sette figli, cresciuto tra le verdi colline e i pascoli della Sardegna orientale. Suo padre era un pastore e sin da giovane Samuele fu coinvolto nelle attività agropastorali della famiglia.

A dispetto delle difficoltà economiche e sociali, Samuele dimostrò fin da bambino una notevole intelligenza e vivacità. Pur avendo poche opportunità di istruzione formale, si suppone che abbia frequentato almeno i primi anni delle scuole elementari. Il suo carattere calmo e il suo senso dell’ironia lo resero un individuo rispettato nella comunità locale.

 

La guerra e il banditismo

La vita del giovane Stocchino prese una svolta decisiva con lo scoppio della Prima guerra mondiale. Arruolato come fante, partì per la Tripolitania e la Cirenaica nel 1915, dove prestò servizio con onore. Un episodio di insubordinazione nel 1916, tuttavia, lo condusse ad una condanna e ad un anno di reclusione militare.

Dopo essere stato rilasciato per buona condotta nel 1917, Samuele tornò nel suo paese natale, ma la sua vita prese una piega oscura. Coinvolto in atti di furto e contrabbando, venne arrestato e successivamente fuggì, divenendo latitante. La fuga segnò l’inizio di una vita di crimine e violenza, che lo avrebbe portato a scontrarsi con le autorità e a guadagnarsi il soprannome “La Tigre d’Ogliastra”.

 

Latitanza e omicidi

I primi tempi di latitanza furono relativamente tranquilli, ma con l’ascesa del fascismo la situazione si fece sempre più pericolosa per Samuele. Il regime vedeva i banditi come nemici dello Stato e iniziò una violenta campagna per reprimere il fenomeno in Sardegna. Stochino, temendo per la sua vita e per quella della sua famiglia, decise di combattere con ferocia contro le forze dell’ordine.

Durante la sua fuga, commise numerosi omicidi, tra cui quello di una bambina di dodici anni, figlia di Antonio Nieddu, suo nemico di Arzana. I suoi delitti furono efferati e spesso rivolti in tono di sfida alle forze dell’ordine. Si alleò, inoltre, con altri banditi, come Onorato Succu di Orgosolo, stringendo amicizie profonde e consolidando la sua posizione nel mondo criminale dell’isola.

 

La morte

La vita di Samuele Stocchino ebbe una fine tragica il 20 febbraio 1928. Le fonti ufficiali riportano che sia stato ucciso in uno scontro a fuoco con i carabinieri in località S’Orgiola de sa Perda, nel territorio di Ulassai. Le circostanze esatte della sua morte, tuttavia, rimangono avvolte nel mistero e nella controversia.

Secondo alcune testimonianze, il suo corpo fu poi trascinato con i cavalli dai carabinieri ed esibito in pubblico, mentre la popolazione manifestava il suo disprezzo. La verità sulla sua morte emerse solo dopo un’indagine approfondita, che rivelò un omicidio brutale e premeditato.

Stochino perì in un agguato, durante il quale due ulassesi gli inflissero numerose coltellate nell’ovile di “Su ‘Eremule” nel quale si stava rifugiando. Tutti gli abitanti di Ulassai coinvolti nel delitto furono uccisi negli anni seguenti.

 

Immagine di copertina ad opera di Lacarpah – Wikipedia

Francesca Ricci

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